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In principio fu l'argilla, poi venne l'idea e l'impasto fu dolce sino a diventare armonioso con la storia, i ricordi le memorie. E' così che le forme, nella oscura bottega di Monopoli, che da sola merita una visita, diventano terracotte fluide, semplici, raffinate.
Roberto Montemurro da Bari, sentirlo chiacchierare amabilmente, qualche tentennamento lo rivela.
Attenzione però; le sue dita non hanno dubbi. Le sue donne sono modernissime e tremendamente "quelle di una volta".
I suoi falconieri bellissimi ed enigmatici. I cavalli, morelli arabi di Martina Franca o normanni come quelli che si tiravano i carri della Birra Peroni, sani robusti e fieri. La stesura dei colori sapiente e rasserenante. La sua mostra una festa elegante fintamente modesta.
Nicola Franco Scolamacchia
________________Non è la prima volta che il nostro Centro fa da supporter a un momento espositivo di Montemurro, forzando la trincea dei suoi lenti bioritmi e soccorrendo la sua caratteristica mancanza di disposizione autopromozionale.
A conti fatti, però, questo culto della discrezione e questa vocazione alla ritrosia consentono a Roberto di lavorare, "sottotraccia", in piena e coerente fedeltà alla proprie istanze, e permettono a noi di assaporare lo stupore tutte le volte che scendiamo nella sua bottega.
E allora, perché non farlo corcolare questo stupore?
Perché non invitare questa Monopoli, così distratta e distraente, a concentrarsi un attimo sull'offerta di sogno e sull'occasione di viaggio che le opere di Montemurro sanno porgere?
In un momento di sbandamento civile, di rarefazione ideativa, di ritualizzazione dell'apparenza, bisogna tenerseli cari cari questi uomini che, a bassa voce, in punta di piedi, si avvitano al proprio impegno -
Per questa ragione, le opere mostrate vanno, per così dire, quardate ad occhi chiusi, nel senso che bisogna farle scivolare dentro la nostra immaginazione, perché possano fermentare e riaccendere fantasie-
Ma intendiamoci, Montemurro non propone di salire sui suoi cavalli per escursioni meramente evasive. Le sue sintesi tra cifra colta e cifra popolare, tra reminiscienze "alte" e citazioni "basse", nascono da un progetto abbastanza motivato e ormai riconoscibile (l'adesione al manifesto dell'arte posturale o dell'occidentalismo imperfetto ne è prova non trascurabile).
La proposizione del fiabesco, dall'onirico, del ludico, marca un bisogno-
La creta come strumento di oralità, affabulazione della realtà, emblema di umanità.
Lino Angiuli
Responsabile C.R.S.E.C. BA/16
________________La quadratura del cerchio per Montemurro sta nel riuscire a combinare poderosità e delicatezza. E ora mi spiego. Nell'infanzia preindustriale della mia e della sua generazione ci sono sicuramente dei cavalli di cartapesta. Sono cavallucci bianchi con zoccoli neri e finimenti rossi e blu. Sono cavallucci montati talora su ruote e capaci di seguire i bambini al tiro di una cavezza di refe. A questi cavalli io usavo dare spesso da bere. Praticavo un foro nella bocca e vi versavo uno o due secchielli d'acqua. Il cavallo cominciava ad afflosciarsi sulle zampe, si acquattava sulla pancia e moriva.
Proprio così è morta la nostra infanzia, con l'acqua del tempo, della maturità e delle preoccupazioni.
Ma montemurro non si è fermato a contemplare solo i cavalli di cartapesta; nella sua formazione scolare e nei suoi anni di studio ci sono stati sicuramente cavalli più corpulenti, quelli torniti e scalcianti di Paolo Uccello, quelli poderosi di Leonardo. Cavalli non so se normanni o murgiani, ma comunque ben impostati sui garetti, non certamente nervosi e sfilati, ma statuari e robusti.
A Montemurro interessavano cavalli persino attozzati nella carne, immagini di forza e di muscoli, monumenti alla passanza. E chissà che non ci fossero, non ci siano, nel suo sogno ispiratore, i quattro semi delle carte napoletane, quel cavaliere segnato dal numero nove e portatore di coppe spade denari e bastoni. Chissà che non ci sia il soggetto dai passi felpati delle ninnananne, quando la mamma si agita sulla sedia di paglia per cullare il figlio in fasce e cantando invoca il sonno, che venga su un cavallo dagli zoccoli e la briglia d'oro e d'argento.
A cavalcare gli animali di Montemurro c'erano giovani cavaglieri appena abbozzari nei vestiari. L'essenzialità descrittiva di cavalli e cavalieri è sempre stata una caratteristica di Roberto, che è ricorso ai colori solo per visitare le tinte pastello, per dorare e aumentare così il senso di fiaba e di memoria che la sua figurazione intende costruire.
Ma dai magi trionfanti e dai principi in posa ora Montemurro fa un salto ancora più "regressivo" e ci offre fate principesse bambine e damigelle a cavallo.
Ci offre sogni, con una vena fantastica e memoriale imprigionata nella bellezza disarmata e disarmante della terracotta.
Tutto questo per raccontarci un tempo perduto di manualità e di artigianalità, un tempo di sentimenti robusti ma anche un'età dorata coincisa con l'infanzia di tutti
Raffaele Nigro
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Roberto Montemurro: il “cantore” dell’argilla
Tra i più straordinari ceramisti di Puglia c’è Roberto Montemurro. Vive a Monopoli, la città a Sud di Bari che sa già d’Oriente, legata com’è al suo mare memore dei traffici fra le due sponde ed avvolta da una luce magnifica, luogo civilissimo e ricco di monumenti. L’alchimia superba di natura e cultura, che fa di Monopoli un posto speciale, è come se si riverberasse nelle opere di Montemurro: nelle mani dell’artista l’impasto d’argilla si trasforma in creazioni fantastiche. In poche parti del mondo come in Puglia la terracotta ha raggiunto i vertici espressivi di cui egli è l’odierno “cantore”. Sì, perché nel DNA dei Pugliesi vi è la tradizione magno-
Giusy Petruzzelli
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Tra le nuove proposte interessanti appaiono i lavori di Roberto Montemurro.
Le fantastiche creature di Terracotta di Montemurro rappresentano probabilmente il mondo mitico dell'infanzia dell'uomo, delle fiabe della storia, la magia di una bellezza antica e sfuggente. In un mondo privo della potenza della narrazione, asservito ai modelli massmediali, le sculture dell'artista invitano al racconto delle origini in modo da rivisitare le tradizioni di cui sono impegnate le varie culture.
Santa Fizzarotti Selvaggi è scrittrice e critico d'arte, psicologo-
Dal 1985 al 1990 è stata Presidente dell'Accademia di Belle Arti di Bari. Tra le sue numerose pubblicazioni:
Santa Fizzarotti Selvaggi